Come un bambino autistico imparò a far di conto

Mi servirò di Paolo, un bambino affetto da autismo infantile per illustrare il metodo della semplificazione. Avevo deciso di insegnare a Paolo le addizioni, visto che sembravano per lui un ostacolo insormontabile e le insegnanti si trovavano in grande difficoltà. La sola cosa che era in grado di fare era di ripetere, un po’ a casaccio, il nome dei numeri. Ora si trattava di arrivare all’operazione dell’addizione individuando una catena di acquisizioni che presentasse il minimo grado di difficoltà. Per ritornare alla metafora della scala, l’altezza dei gradini doveva essere ridotta il più possibile. L’addizione più semplice è quella in cui si aggiunge un’unità, ma questo era ancora troppo difficile. L’addizione 5+1=6 , per esempio, contiene diverse operazioni mentali: si deve riportare alla memoria la sequenza dei numeri, capire che bisogna cominciare a contare partendo dal numero cinque e poi dire quello che, nell’ordine, viene dopo. È necessario, quindi, avere memorizzato i numeri almeno fino al sei in maniera precisa e ordinata e avere la cognizione dell’ordine che li lega: cioè che i numeri hanno una relazione fra loro, per cui uno viene prima e l’altro viene dopo. Se vediamo un treno passare, percepiamo che i vagoni rimarranno nello stesso ordine lungo tutto il percorso: sono cioè in relazione ordinata fra loro. In base a queste considerazioni, individuai i primi due ‘pianerottoli’ della scala dell’apprendimento della somma in: 1) memorizzare i primi dieci numeri in successione; 2) comprendere la differenza che c’è tra una sequenza casuale e un’altra vincolata da un ordine. Per cominciare decisi di lavorare solo con i numeri dall’uno al tre. Individuai una porta di accesso: la passione di Paolo per l’altalena. Io spingevo e lui si divertiva ad andare su e giù. Cercavo di fargli capire che, per spingersi da solo, quando l’altalena va avanti, le gambe vanno allungate verso l’alto e, quando l’altalena torna indietro, le gambe ritirare verso il basso; ma per lui era difficile comprenderne il funzionamento. In quell’occasione cominciai ad associare a una sequenza di tre spinte i primi tre numeri in ordine: nello stesso momento in cui imprimevo al seggiolino la prima spinta dicevo “uno”, nello stesso momento in cui imprimevo al seggiolino la seconda spinta dicevo “due”, e così per la terza spinta. Dopo aver detto ‘tre’ continuavo per un po’ a spingerlo senza dire niente. Poi riprendevo ad accompagnate le spinte con ‘Uno, due, tre’. Ripetei diverse volte questa sequenza, mettendo molta attenzione a pronunciare il numero nel momento stesso in cui lo spingevo. Poi introdussi una variazione per indurlo a una partecipazione attiva: subito dopo il numero tre interrompevo le spinte e lo lasciavo andare da solo. Tuttavia, siccome non era in grado di spingersi, l’altalena cominciava a rallentare le sue oscillazioni provocando chiari segni di disappunto da parte di Paolo. Lo lasciavo in questo disagio per un certo tempo e quindi riprendevo a spingerlo ripetendo nuovamente ‘Uno, due, tre’. La variante successiva fu che, dopo il ‘tre’ smettevo di spingerlo. Paolo s’irritava, ma lasciavo che questo stato di fastidio aumentasse, affinché si desse da fare per trovare una soluzione al suo problema. Lui provava a spingersi un po’ da solo, ma era impacciato nei movimenti e così finiva con il lamentarsi perché non lo spingevo. Quando realizzò che io non intervenivo cominciò, quasi per caso, a dire ‘uno’ e io immediatamente lo spinsi; allora continuò con ‘due’ e ‘tre’. Vedendo che con questo sistema io rispondevo immediatamente con una spinta e potendo così controllare la situazione, incominciò a entrare volentieri nel ‘gioco’. In questa maniera insegnai a Paolo gradualmente a contare fino a dieci. Imparava velocemente, perché il contare fino al dieci gli evitava la sgradevole sensazione di non sentirsi più spinto. Infatti, ogni volta che non diceva il numero o ne diceva uno sbagliato interrompevo le spinte, per riprenderle solo se riprendeva da capo la successione giusta. Oppure gli ricordavo il numero con cui aveva smesso di contare e finché non arrivava a dire il successivo non lo spingevo. La spinta e l’interruzione della  spinta rappresentavano per Paolo un continuo feedback, strumento grazie al quale fu guidato a memorizzare i numeri. Mettevo particolare attenzione affinché questo feedback fosse preciso: curavo di associare la pronuncia del numero al momento preciso in cui applicavo la spinta e lo spingevo solo quando riusciva a dire il numero successivo. La frequenza di feedback necessari per consolidare questa semplice acquisizione, inizialmente era quasi continua, poi andò via via riducendosi. Alla fine raramente interrompevo le spinte, perché ormai non si sbagliava quasi più. Dopo qualche settimana non faceva più errori: eravamo arrivati al primo ‘pianerottolo’: l’acquisizione della sequenza dei numeri fino al dieci. Decisi così di riprendere la salita per raggiungere il ‘pianerottolo’ successivo. Ora si trattava di arrivare alla cognizione di sequenza ordinata. Una sequenza ordinata è una relazione che lega un certo numero di elementi in maniera tale che il posto nella successione non può essere modificato. In particolare, due elementi all’interno della sequenza sono legati dalla seguente relazione: uno viene prima e l’altro dopo, uno è il precedente e l’altro il successivo. Per arrivare a questa cognizione Paolo doveva fare esperienze concrete, altrimenti non avrebbe potuto afferrarla. Si trattava quindi di fornire a Paolo esperienze pratiche di sequenze ordinate, per poi portarlo ad associare questa relazione alla sequenza dei numeri. In questo caso usai l’attrazione per le scale a chiocciola. Paolo abitava al terzo piano e stava ore a salire e scendere le scale: questa occupazione lo affascinava totalmente. Spesso si sedeva su un gradino e rimaneva lì a guardare giù per diverso tempo. In una di queste occasioni presi tre monete, le misi in fila una dietro l’altra su un gradino e gli dissi: «Facciamo salire le scale a questo trenino di monete». Poi io prendevo la prima moneta e dicevo: «Prima sale questa che sta davanti» e, così dicendo, la spostavo sul gradino successivo. Quindi toccavo la seconda moneta: «Poi sale questa che viene dopo»; infine prendevo l’ultima e dicevo: «ora sale quella che viene dopo ancora». Poiché si mostrava molto interessato, gli diedi le tre monete e gli proposi di metterle in fila e di «far salire le scale al trenino». Paolo inizialmente faceva salire le monete a caso, senza un ordine; allora intervenivo dicendo che si trattava di un trenino e che le monete dovevano salire una dietro l’altra, come i vagoni di un treno. Lui sapeva bene che cosa fosse un treno e in breve tempo cominciò a fare salire gli oggetti in ordine, proprio come fossero legati fra loro uno dietro l’altro, come i vagoni di un treno. Fino a questo momento non avevo ancora parlato di numeri perché volevo che prima mettesse bene a fuoco la relazione di successione ordinata. Nello stesso periodo in cui facevo spesso con lui il gioco del trenino, chiesi alle insegnanti di fargli fare esperienze analoghe con tutti gli “insiemi di oggetti vincolati da un ordine” che si trovavano a scuola. Per esempio, se sfogliava una rivista, l’insegnante avrebbe dovuto guidarlo a passare dalla pagina precedente a quella successiva senza salti. Oppure si poteva ‘giocare’ a toccare la fila di ganci appendi-abiti di un attaccapanni, dal primo fino all’ultimo. Dopo una serie di esperienze di questo tipo, divenne un’abitudine seguire l’ordine senza interruzioni. A questo punto iniziammo ad associare a queste operazioni psicomotorie i numeri dall’uno al dieci, che aveva precedentemente memorizzato grazie al gioco dell’altalena. Oltre a toccare in successione gli elementi di una serie ordinata come le pagine di una rivista, stimolato dall’adulto, li contava anche. Dopo questo lavoro, la sequenza dei numeri divenne ben ordinata nella sua mente, come lo sono appunto i vagoni di un treno. Infatti era in grado di verbalizzarli nell’ordine giusto senza sbagliarsi. Il secondo “pianerottolo” era raggiunto. Stabilita questa base fu solo questione di tempo arrivare all’operazione dell’addizione. Oggi è in grado di usare bene le quattro operazioni anche per risolvere semplici problemi. Con questo esempio ho voluto mostrare a quale livello può spingersi l’arte della semplificazione e di come sia necessaria in certe circostanze. Se fossi partito subito da “1+1=2”, Paolo si sarebbe bloccato come di fronte a qualcosa d’incomprensibile, e l’apprendimento della matematica sarebbe risultato seriamente compromesso, se non addirittura impossibile. Inoltre, con questo esempio, ho posto l’accento sull’importanza di dare feedback precisi e mirati. Affrontando con Paolo le sue grandi difficoltà di apprendimento, io e le sue insegnanti abbiamo imparato molto su come si possano affrontare in generale le difficoltà che gli allievi incontrano quando apprendono. Le sue insegnanti e io, abbiamo vissuto i successi di Paolo come successi anche nostri.

Estratto dal libro Le porte dell'attenzione di Settimo Catalano, Ed. Chiara Luce