Bullismo / l’altro come strumento, l’altro come persona

Quando i bambini si comportano da bulli con i compagni, c’è la percezione dell’altro come strumento che si può usare a piacimento, come si fa con gli oggetti inanimati.

 

Nel bullismo questa riduzione dell’altro a oggetto è particolarmente evidente, perché è fine a se stessa e appare come una mera dimostrazione di forza, di potenza e di dominio. Il copione prevede fino a quattro ruoli. Uno forte che s’impone con atti aggressivi e violenti, un personaggio debole che soccombe, un pubblico che testimonia la scena e dei sostenitori che s’identificano col protagonista. Si può considerare che il bullo, per difendersi da sentimenti d’inadeguatezza, si serva degli altri per mettere in atto il suo dramma personale: un gioco distruttivo fra parti interiori incompatibili fra loro. 

C’è innanzitutto una parte di sé sperimentata in tante occasioni come debole e incapace (per le più svariate ragioni d’insuccesso: ingiustizie subite, incapacità a elaborare i drammi della propria vita, a farsi valere come persona, a tener testa alle pretese dei ‘grandi’, a reagire alle autorità, a farsi amare, difficoltà ad apprendere, ecc.). Questa parte perdente è negata e proiettata fuori sulla persona debole oggetto di vessazioni. Poi c’è la polarità opposta, un Io che si crede potente, capace, in grado di dominare gli altri e le situazioni. Il bullo aderisce esclusivamente a questa polarità e la mostra al pubblico, facendola da padrone con le sue vittime. Il bullismo è da considerarsi un caso limite di relazione strumentale, in un periodo storico in cui dilaga la tendenza a vedere l’altro prevalentemente come strumento per fare o ottenere qualcosa. Una relazione che veda l’altro come persona presuppone invece attenzione, ascolto, curiosità, attrazione, fascino e senso del mistero, e ciò diventa possibile solo se c’è impegno nella relazione e un reale apprezzamento verso la diversità dell’altro.

Una buona relazione persona-persona presuppone la consapevolezza di un campo relazionale, dove interagiscono modalità diversificate: modo di percepire, di ricordare, di pensare, di parlare, di muoversi, bisogni, desideri, aspettative, background, eccetera. Queste cose possono entrare in sinergia o divergere fino a entrare in contrasto fra loro. Ne risulta un campo che per sua natura mette in gioco forze anche contrarie, ed è quindi potenzialmente conflittuale. Questa dinamica è evidente ovunque vi siano gruppi di persone. Di conseguenza, rispettare l’altro è correlato sia alla capacità di gestire la conflittualità, sia alla capacità di accettare e integrare la diversità.

Per quanto riguarda la relazione bisogna anche chiarire il concetto di uguaglianza: l’altro è uguale a te in quanto persona, ha bisogno cioè di essere ascoltato e preso in considerazione, ma diverso da te per tutto il resto. E’ proprio questo saper ascoltare con curiosità l’altro come portatore di una diversità interessante che arricchisce una buona relazione.