IL RISPETTO RECIPROCO

“Se uscite da questa scuola elementare e avete imparato l’italiano e la matematica, ma non avete imparato a rispettarvi reciprocamente, la scuola ha fallito sulla cosa più importante”. Così dicevo nel 1984 ai bambini di quinta elementare che stavano per andare alle scuole medie[1].

Imparare il rispetto reciproco è il principio su cui ho basato quarant’anni di lavoro nelle scuole. Inizialmente si trattava solo di un’intuizione, di un’intima convinzione che fosse l’apprendimento più importante di tutti, ma allora non sarei riuscito né a dimostrarne chiaramente il valore né a indicare un percorso pratico per realizzarlo. Vedevo però che nel normale far scuola il rispetto per l’altro era pura ideologia, non c’era una reale attenzione e non faceva parte di nessuna attività di apprendimento.

 

Così recita la Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989: “Gli Stati parti s’impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere (...)” (art. 3). E il benessere è inteso anche in senso psicologico perché più avanti troviamo: “Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione (...)” (art. 13). Libertà limitata però “al rispetto dei diritti o della reputazione altrui (…)” (art. 13).

La Convenzione dichiara l’importanza di un benessere non solo fisico ma anche basato sulla libertà di espressione nel rispetto dell’altro. È la base di una sana crescita poiché solo in un clima di rispetto ci si sente ascoltati e liberi di esprimersi; solo in questo clima è possibile sviluppare un benessere più profondo che nasce dal senso del valore della propria e altrui persona.

Il rispetto, nel senso di riconoscimento della soggettività che ci rende persone uniche, si traduce in un clima che va costruito consapevolmente e attivamente nei luoghi in cui cresce il bambino, ovvero la famiglia, la scuola e la società nel suo complesso.

Proteggere il fanciullo significa realizzare concretamente un campo relazionale in cui il rispetto della soggettività caratterizza, in maniera coerente e continuativa, non solo le interazioni fra adulto e bambino (e fra adulti!), ma anche le interazioni orizzontali fra bambini. In ambito scolastico questo implica necessariamente una conoscenza delle dinamiche di gruppo, per individuare e governare le forze che spingono nella direzione di un clima di appartenenza e accettazione e quelle che invece spingono in direzione contraria.

In che modo la scuola può da un lato proteggere il bambino da un punto di vista psicologico e relazionale, e dall’altro promuovere attivamente percorsi di apprendimento mirati al rispetto reciproco?

Gli articoli che seguono cercano di rispondere a queste domande.



[1] Era la Scuola Elementare di Gorla Maggiore in provincia di Varese di cui ho diretto il doposcuola dal 1980 al 1984.