IL GIOCO CORPOREO COME STRUMENTO DEL CONOSCERSI ATTRAVERSO L’ALTRO

Accendere il motore della conoscenza interpersonale e farlo con una certa consapevolezza non è così difficile come potrebbe sembrare. Nel mio lavoro con i gruppi classe ho sperimentato vari metodi derivanti dall’animazione musicale e teatrale e dalla dinamica di gruppo e ho visto che i bambini per imparare hanno bisogno innanzitutto di essere coinvolti, di praticare e di fare, e poi di parlare e riflettere, in un processo continuo dove il fare precede sempre il ragionare. Si procede dai fatti concreti e dalle esperienze per scoprire le leggi e le teorie. Se si parte dal predicare ai bambini che devono conoscersi e che non devono escludere nessuno – come spesso succede – il risultato è un buco nell’acqua, e dopo aver fatto il discorso più bello del mondo tutto torna come prima. E questo è tanto più vero quanto più sono piccoli i bambini.

 

In secondo luogo, se l’obiettivo è di arrivare a sentirsi bene con gli altri attraverso la reciproca conoscenza, dobbiamo dare a tutti la possibilità di conoscere ciascun altro, sviluppare tutte le possibilità del campo relazionale, come una rete dove ogni punto è connesso con ogni altro punto, una rete senza buchi. È necessario consentire a tutti di verificare, attraverso esperienze concrete, che aumentando la conoscenza reciproca ed espandendola a tutti i compagni, il timore verso gli altri diminuisce fino a dar spazio al piacere della relazione e di appartenere al gruppo.

Nel mio lavoro con i gruppi classe ho visto come lo strumento più efficace per conoscersi sia il gioco libero corporeo, senza la mediazione di oggetti.

Tutti sanno per esperienza personale che appena si comincia a giocare le cose cambiano, la relazione si mette in moto e si comincia a conoscersi. Il tipo di gioco è importante perché determina l’aspetto dell’altro che andiamo a conoscere. Un gioco competitivo metterà in luce il nostro modo e quello dell’altro di competere e la nostra reazione alla frustrazione e al successo. Se nel gioco usiamo oggetti, scopriremo come noi trattiamo gli oggetti e che uso ne facciamo, la nostra preferenza per uno o per l’altro, e parallelamente scopriremo cosa fa l’altro con gli oggetti. 

Quando al centro dell’apprendimento c’è la relazione stessa, nella mia esperienza ciò che funziona meglio è il gioco senza oggetti: giocare usando solo il proprio corpo e quello dell’altro.

L’obiettivo infatti è di far scoprire che al di là dell’attrazione o repulsione a prima vista è possibile interagire con l’altro con reciproca soddisfazione e curiosità, qualunque sia il compagno. Può apparirmi strano o difficile, essere disabile, in sedia a rotelle, magari non parla, ma nel gioco libero corporeo io scopro innanzitutto che l’altro è un bambino che, come me, si attiva nell’eccitazione del gioco, che condivide con me il linguaggio universale del gioco.

Ma come impostare il gioco? Quando e in quali situazioni? Si possono usare l’intervallo e i momenti liberi? Lo si può dare come compito a casa per risparmiare tempo?

A mio avviso, se vogliamo includere concretamente l’apprendimento delle competenze relazionali nel processo educativo e riteniamo che la scuola debba formare i bambini a essere membri rispettosi e responsabili di una comunità, non possiamo pensare che questi apprendimenti vengano di fatto lasciati al caso. Ritengo cioè che l’educazione al rispetto e alla conoscenza dell’altro debba essere a buon diritto una materia d’insegnamento, non certo da farsi negli intervalli, durante i quali è giusto che i bambini possano giocare liberamente.

È quindi importante che venga comunicato ai bambini che si dedicheranno un tempo e uno spazio precisi a un apprendimento importante quanto le altre materie: potrebbe chiamarsi “Educazione al gioco” o, ancor meglio, “Imparare a giocare con tutti” o “Giocare per Conoscersi” ecc. Comunque lo si voglia chiamare deve essere chiaro che si fa un lavoro, una fatica per imparare qualcosa di importante. Da un punto di vista didattico si tratta in sintesi di impostare delle unità didattiche e una metodologia in cui chi conduce il gruppo dà di volta in volta dei confini molto precisi al gioco libero, consentendo ai bambini di sperimentare delle interazioni per loro nuove, in una situazione protetta e quindi con meno ansia. Queste esperienze concrete costituiscono la base per la riflessione e la teoria.

Come per qualunque altra materia, l’obiettivo è l’acquisizione di nuove competenze, in questo caso relazionali; è quindi necessario individuare degli strumenti specifici per verificare l’evoluzione del processo relazionale di gruppo, poiché gli indici da considerare devono essere necessariamente dei parametri di tipo gruppale e non individuale.